Catechesi


INDICE 


Natale... Perchè?
Che la morte mi trovi vivo...
I sette doni dello Spirito Santo: la Pietà
Fine o Confine
Chi è il mio nemico?
Gesù disse loro... 
                       (don Mimmo Panico)  
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Domenica di Pasqua
Il Segno della Croce
La povertà (don Tonino Bello) 
XXIX Domenica Tempo Ordinario Comunione e Libertà, essere parte appassionata del mondo ma non farsi sottomettere da alcuno: noi apparteniamo a Colui di cui siamo immagine.



 



Natale... Perché?


Caro Gesù,
qualche giorno fa sul giornale ho letto una notizia singolare: parlava di una recente statistica secondo cui la parola ogni giorno più pronunciata nel mondo non è, come avremmo potuto immaginare, cuore, amore, felicità, o, che so io?, papa Francesco, salute, denaro, e neppure quella strana cosa che da tempo turba i nostri sogni: spread..., ma semplicemente perché? A rifletterci, pure io mi accorgo di dire perché almeno un paio di volte al giorno, e se moltiplico le mie due volte per i miliardi di abitanti del pianeta il prodotto è davvero una notevole quantità di perché! Quanti, peraltro, ne avrò pronunciati io stesso da quando sono nato? Ecco, giusto ora rammento quando da bambino assillavo il babbo: perché i fiori sono colorati?,  perché il cielo è azzurro?, perché le auto si muovono?, perché le lampadine si illuminano?, e ancora mi suscita ilarità la sua risposta:  Non lo so il perché! E vuoi sapere anche perché non so il perché?  Perché il libro dei perché andò a mare e si perdé!
 Perché dice curiosità, che, mica vero come si dice da noi in terra, è femminile..: sapessi quanti maschi ho incontrato, curiosi più delle scimmie e pettegoli più di un parlamento di sole donne! La curiosità è semplicemente... umana e accompagna tutta la nostra vita dalla prima sbirciata al volto della mamma all’uso della parola, quando i perché diventano, poi, drammaticamente come le ciliegie: uno tira l’altro... Mio nonno ripeteva che “chi domanda non fa peccato...”, aggiungendo poi che “chi ten a lengua va in Sardegna!”, come a sottolineare che solo chi non ha vergogna di chiedere, ammettendo la propria ignoranza, può arrivare anche in quella terra all’epoca tanto lontana da sembrare irraggiungibile! Penso avesse proprio ragione...
D’altronde, anche tu ti sarai lasciato tentare – ops, scusami, volevo dire: prendere dalla curiosità! - di fare qualche domanda al Padre tuo, magari  a proposito di quel giorno e di quell’ora che ai tuoi discepoli dicesti di ignorare! Una vita senza perché, mi dici cosa sarebbe se non insipida, scialba, noiosa? Immagini tu una moglie che non abbia mai da curiosare nelle tasche del marito? Se devo proprio essere sincero con te, sospetto che, in definitiva, i perché li hai inventati proprio tu, magari per capire se avremmo usato l’intelligenza che ci hai donato… Perché gli uccelli volano e perché quella benedetta mela cadde in testa proprio a Isacco Newton?: sai, dunque, meglio di me che l’intelligenza l’abbiamo usata, non sempre bene ma l’abbiamo usata, e che proprio rispondendo a un perché così ora voliamo in aereo...
Certo, Gesù, non tutti i perché sono uguali: alcuni sono scherzosi e fanno anche sorridere, ma certi altri sono davvero tremendi perché nascono dal dolore, dalla tristezza, dalla disperazione... Io, per esempio, non vorrei mai sentire una mamma chiedersi perché il figlio si droga, né un uomo chiedersi perché è stato tradito dall’amico cui ha aperto il cuore, né infine ciascuno di noi domandarsi perché il bene viene ricambiato con il male, la dolcezza con l’arroganza, l’umiltà con la superbia... A me è accaduto che quando studiavo filosofia, le domande dei filosofi un poco mi angosciavano: erano domande che non mi ero mai posto - perché sono nato, perché dovrò morire, cosa avverrà di me dopo la morte, perché il dolore, l’amore, la violenza -, ma che, devo confessare, col tempo mi hanno aiutato a comprendere che il mondo da interrogare non è solo quello intorno a me, ma anche quello dentro di me, e  che i perché non riguardano solo le leggi del mondo, ma anche l’anima... Ops, mi accorgo che sto divagando, scusami... In realtà, l’ho menata un poco per le lunghe perché, non so come dirtelo, ma anch’io desidererei rivolgerti qualche domanda, ehm..., personale. Certo, capisco che oggi per te non è precisamente il giorno adatto: è il tuo compleanno in terra, e certamente in cielo hanno preparato una grande festa, e tu avrai tante mani da stringere, tanti abbracci e baci da ricambiare... Da giovane marmotta, quale sono stato, prometto: sarò brevissimo! E poi, scusami, ma non abbiamo detto che a domandare non si fa peccato… Tanto, non devo chiederti regali perché già li porta babbo natale, non devo rimproverarti nulla perché già sono troppi quelli che si ricordano di te solo quando qui in terra accade qualche disgrazia, né voglio interrogarti circa il mio futuro... Solo qualche chiarimento: nonostante, il Vangelo, talvolta la tua logica mi sfugge…
Al sodo: perché hai deciso di avere anche tu un compleanno in terra, perché Natale?    
Gesù,  mi spieghi perché sei sceso dalle stelle e hai amato la nostra povertà quando, invece, senza troppo stress potevi continuare a guardare la terra dal tuo cielo? In fondo tu, che sei Dio, avresti dovuto già sapere in anticipo che, nascendo dalla Vergine, saresti finito su una croce! E, venuto poi tra noi, perché ti sei impegolato proprio con la feccia della società, ignorando che, così facendo, ti saresti inimicato proprio coloro che potevano garantirti successo e tranquillità, e magari acclamarti  loro Re?  Sei forse stato un poco temerario a pensare che con la tua venuta la storia degli uomini sarebbe cambiata in storia di amore e pace, e non sarebbe più stata storia di violenza e omicidi, di  guerre e corruzione? E perché ci hai chiamati e continui a chiamarci amici quando, come me, sai benissimo che chi oggi grida osanna, domani, per suo interesse, è capace di gridare ancor più forte crocifiggilo? Addirittura poi ci perdoni tutti mentre agonizzi su una croce...! Perché?
Sono certo che miliardi di altre volte ti hanno rivolto le stesse domande, e non voglio nascondermi dietro il fatto che non so tu cosa abbia risposto altre volte. La verità è che oggi ho deciso di scriverti non solo per porti delle domande, ma anche per verificare se le cose che io avverto sono vere, cioè sono anche le tue... Se i fedeli della mia parrocchia mi ponessero le medesime domande, potrei affermare che tu sei venuto fra noi, come uno di noi, perché senza di te non si sa che fine avrebbero fatto la pecorella smarrita e il figlio prodigo e sbandato? E nessuno avrebbe detto parole di perdono e di speranza all’adultera e a Zaccheo? E nessuno avrebbe convinto Nicodemo che è possibile rinascere dall’Alto nell’Amore, e nessuno avrebbe aperto le porte del paradiso anche al ladrone crocifisso alla tua destra, e spalancato la propria reggia per invitare al banchetto nuziale i derelitti di questo mondo, me compreso che spesso non ho tempo nemmeno per gioire? Potrei affermare senza sbagliarmi che Tu, tu... ti sei incarnato e sei anche finito su una croce per dirmi che in ciascuna di quelle persone, da sempre, hai amato e ami anche me, qualunque sia e sarà il mio peccato, nonostante il mio peccato, e che – se lo desidero e te lo permetto - già da oggi posso essere con te in paradiso? Proprio come il buon ladrone e con il buon ladrone, come la pecorella smarrita e con la pecorella smarrita, come il figliol prodigo e con il figliol prodigo, come Zaccheo e con Zaccheo?
Grazie per l’attenzione, Gesù... Ora dedicati pure alla tua festa in cielo… Mi raccomando: per la risposta, però, non dirmi, come usa dire da noi in terra, ne parliamo dopo le feste.. Intanto, ti abbraccio forte
  
(don Mimmo Panico)



 

Che la morte mi trovi vivo…


Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce...
(Pablo Neruda)


E’ comune eredità del genere umano, ma ad essa non si addice il proverbio mal comune mezzo gaudio. Tutti, infatti, la temiamo, poco importa se credenti o meno, perché reca con se l’idea della fine e del nulla. Si tenta allora di negarle diritto di cittadinanza nel parlare comune, e poiché ignorarla del tutto è impossibile, si parla di quella altrui, ma  discretamente e, naturalmente, in… politicamente corretto.  Non si dice che il morto è morto, ma semplicemente che è venuto meno,  mancando all’affetto dei suoi... E pure il “ritorno alla casa del Padre”, di così cristiana memoria, non richiama immediatamente quello del figliol prodigo, riaccolto con tutti gli onori, ma quello più concreto del ricco epulone, che banalmente morì e naturalmente fu sepolto, ritornando alla terra. Pensarla è tabu: il dopo ci fa rabbrividire… Più di un treno svizzero, arriva poi sempre prematuramente, non si capisce in anticipo su quali tempi, perché l’orario non era esposto… Anche il papà o il nonno o lo zio non muoiono mai, semplicemente volano in cielo, perché, pare, a nostra insaputa avevano conseguito il brevetto da piloti. I malati devono solo guarire, e se capita l’imponderabile è stato solo per una fatalità, una disgrazia, un errore medico... Nemica per definizione, alla morte non si applicano le parole di Gesù secondo cui è meglio riconciliarsi con l’avversario mentre si è in strada con lui… Come un politico di razza che, a suo dire, ha inopinatamente perso le elezioni, demonizziamo l’avversario senza riconoscergli funzione alcuna... Ma per quanto m’ingegni a negarla, a schivarla, ad allontanarla, io so che verrà, e desidero che, quando verrà la morte mi trovi vivo… Come l’atleta con il suo limite, voglio riconciliarmi con la morte, perché so che, nonostante i miei allenamenti, ci sarà un punto di non ritorno: ne devo rendere consapevole anche il mio cuore. Io desidero che la morte mi trovi vivo, senza dovermi abbandonare ad un sonno improvviso ed eterno come sotto anestesia: lentamente già morirei se fossi incapace di ricordare a me stesso che il mio tempo viaggia verso il suo limite, e lei mi accompagna... Provo a consolarmi dicendo che quando io sono essa non c’è e solo io non ci sarò più essa ci sarà, ma so di raccontarmi una pietosa bugia, perché essa c’è anche quando ci sono io: tutto muore, tutto ha una durata. Tutti moriamo… Solo se fossi completamente cieco potrei fingere di non vederla quotidianamente intorno a me, accanto a me, anzi talvolta essa addirittura  mi sfiora, e mi strizza l’occhio dicendomi che un giorno anche per noi ci sarà l’incontro ravvicinato… Posso, dunque, ignorarla o nascondermela come faccio quando spingo la cenere sotto il tappeto? Su questa terra ho amato e sperato, lottato e sofferto, su questa terra un’alba o un tramonto struggenti mi hanno esaltato, ma non sono qui le mie radici, io cammino verso l’orizzonte, e la morte ha camminato con me, fianco a fianco… Lei non m’ignora, e io non posso ignorarla… Mi dimenticheranno, ma io so di essere più dei miei giorni, più di un ricordo. Riconciliati con il tuo avversario finché sei in strada con lui, ricordo a me stesso Desidero che la morte mi trovi vivo, per non subirla come un castigo. Penso che non potremo mai essere amici ma non per questo la banalizzo, piuttosto la umanizzo, riportandola al mio mondo. Nel tempo che passa inesorabile, nelle energie che mancano, nel fiore che appassisce, nel bambino che diventa uomo, nelle amicizie che si sgretolano, nel tramonto del sole che mi rammenta la fine del giorno e nell’alba che mi annuncia il giorno futuro ne intravedo la realtà di compagna di viaggio che mi ammonisce a non rimandare a un domani improbabile quello che posso fare oggi. Oggi, dunque, devo essere felice, amare, vivere bene il mio tempo… C’è, ed allora devo riconoscerle non solo consistenza ma anche funzione, senza ridurla a accidente o a fatalità: che sia, davvero, l’ultimo appello a fidarmi di Colui che un giorno ai suoi discepoli, sopraffatti dalla stanchezza di una notte senza pesca, ordinò di gettare la rete dalla parte destra della barca perché avrebbero trovato?   Leggo il Vangelo, e non posso non riflettere su quel centurione, che, nonostante la consuetudine con le morti violente, vede spirare Gesù in quel modo, e lo riconosce Figlio di Dio, Signore anche della morte! Devo confrontarmi anche con lui domandomi cosa lui abbia visto nella morte di Gesù che io non vedo o che semplicemente non voglio accettare: forse la consapevolezza di una morte non subita, un’offerta? Desidero che la morte mi trovi vivo, e come il centurione allora ho bisogno anch’io di uno sguardo lungo per fare una professione di fede nella Vita che non può finire in cenere con le mie ossa… Leggo ancora il Vangelo e non posso sorvolare sul fatto che Gesù, al quale anche i mari e il vento obbedivano, si turbi anch’egli e si commuova e poi addirittura pianga per la morte di un amico, e vedere poi egli stesso angosciarsi per la sua morte pur annunciata: l’aborrisce egli stesso, e tuttavia l’accoglie per superarla?  Non sarà la morte la parola ultima sulla mia esistenza, ma l’amore di Dio, perché vedo ancora Gesù non solo resistere alla provocazione di scendere dalla croce, ma anzi  gridare perdono per i suoi carnefici, e poi, risorto, mostrare ai discepoli le ferite della passione quasi come segno di continuità tra il prima e il poi…  Comprendo che sta parlando al mio cuore, e mi dona già ora una prospettiva di Vita nuova. Voglio fortemente che la morte mi trovi vivo, nel pieno del mio amore, della mia operosa carità. Riconciliati con il tuo avversario mentre sei in strada con lui … Il mio è ancora solo un vago desiderio di vita oltre la morte, ma se voglio davvero vivere in eterno devo riconciliarmi con la morte, in Gesù… Questa è la vita eterna: conoscere te e colui che tu hai mandato. Cristianizzo la mia fede: sul Golgota non è morto solo un uomo, per quanto grande, ma si è davvero giocata la partita decisiva, dove Vita e morte si affrontarono in un prodigioso duello, e il Signore della Vita, che era morto, ora vivo trionfa… E allora io già risorgo su questa terra, l’eternità è già in me, il mio cuore già ora vive il suo desiderio di infinito. Nel perdono accordato e concesso, nell’amore accolto e donato, nel bene ricevuto e in quello fatto già sono risorto  La morte mi troverà vivo… Già risorto!

(don Mimmo Panico)
 


 
 
 I sette doni dello Spirito Santo: la Pietà


“Uomini, perché all’ultimo minuto non vi assalga  il rimorso
 ormai tardivo per non aver pietà giammai avuto,
e non diventi rantolo il respiro,
sappiate che la morte vi sorveglia,
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescer il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce
(Fabrizio De André)


            Un uomo come tanti se ne camminava per i fatti suoi, seguiva la sua strada e il flusso dei suoi pensieri. Non si sa, e poco importa, se fosse buono o cattivo, ma semplicemente che era un uomo e che certo lungo quella strada lui non aveva commesso reati o fatto male ad alcuno. Anzi pare salutasse gli altri passanti e non lesinava informazioni se gliene chiedevano. A vederlo sembrava persona seria e riservata, e anche questo poco importa, ma non fu sufficiente ad evitargli la mala sorte d’imbattersi in un’accolta di lestofanti che, derubatolo d’ogni che, lo riempirono anche di legnate, lasciandolo mezzo morto sul ciglio della strada. Tuttavia egli non imprecò né contro il governo ladro, che nulla faceva per rendere più sicure le strade, né contro il suo Dio, possibilmente reo di lasciare impuniti i malfattori e permettere che ai buoni capitino tutte le sfortune del mondo. Confidava però  con tutte le sue forze che qualcuno ora, sì ora, avesse pietà di lui mostrandosi compassionevole come il Dio dei Padri, che permette sì il male ma risolleva il povero e la vedova. Arriveranno i nostri, sperava. E i nostri arrivarono davvero, perché sulle strade del mondo buoni e cattivi incrociano sempre i loro passi, gli uni agli altri mescolati... I  nostri, dunque, arrivarono ma, ahimé, se ne andarono anche, guardando oltre... Verso l’oltre di pensieri probabilmente tanto alti da non tollerarne altri di sicuro meno nobili? E quali: Dio, il Tempio, gli affetti da ritrovare, gli affari, la destinazione finale, i possibili pericoli? Chissà, sicuramente pensavano tutte queste cose ed anche altre, ma di certo non pensarono né alla misericordia né alla pietà e tantomeno alla compassione... O forse ci pensavano anche, ma non le ritennero in quel momento il loro dovere, una loro preoccupazione. Magari risolsero il dilemma, semmai se ne affacciò uno alla loro mente o al loro cuore, ragionando che il tizio mezzo morto se l’era anche cercata, e chi è cagion del suo male pianga dunque se stesso... E fine della storia! Di una storia, come tante e forse troppe d’ordinaria empietà... Le tante storie di altrettanti uomini, chissà se buoni o cattivi, ma poco importa, quotidianamente,  e in generale cristiana indifferenza, rapinati dei loro beni, sfrattati dalla loro dignità, massacrati nel loro onore, privati del lavoro, lasciati marcire nel carcere dell’indifferenza, e verso i quali l’unico gesto di manifesta pietà è magari una pacca sulla spalla e un laconico confida in Dio... Magari anche costoro, come l’altro, si aspetterebbero di trovare un chi da meno te l’aspetti che, senza star lì a concionare contro il governo o a domandarsi dove fosse Dio quando il poveraccio veniva massacrato, sa di dover incarnare il suo rapporto religioso con Dio (la pietà...) in un sentimento verso gli altri (la compassione), di essere pio perché dà a Dio quel che è di Dio  nel restituire all’uomo mezzo morto quella mezza vita  che gli altri gli hanno rapinata, superando l’ermpietà  dell’indifferenza e del qualunquismo con concreta solidarietà e compassione. Un samaritano eretico e nemico, empio per gli altri ma non certo per il  malcapitato, fu la fortuna di quell’uomo qualunque, l’uomo pio e pietoso che tutti dovremmo poter incrociare sulle nostre strade, colui che, confidando nella tenerezza e nella bontà di Dio, pensa a quel Tempio dello Spirito che è il fratello che gli sta innanzi: come può dire di amare Dio che non vede colui che non ama il fratello che vede?
            Lo Spirito davvero soffia dove vuole, quando vuole... 

(don Mimmo Panico)




       

Fine o Confine

Ultima e terribile nemica, comune eredità del genere umano, la morte fa paura a tutti. Credenti e non... Associandosi all’idea del nulla, del vuoto assoluto e della dimenticanza, fa tanto paura da volerla in qualche modo espellere anche dal vocabolario. Oramai chi dice più è morto?  Si preferiscono sinonimi e locuzioni “politicamente corrette”: venir meno, mancare all’affetto, non essere più… Bandire l’uso di una parola non equivale ad annullare la realtà, e la morte non si esorcizza nascondendola o addirittura negandola. Della morte come della vita occorre parlarne, e tanto più ci si riconcilia con l’idea della morte, del limite, della debolezza, della finitudine tanto più s’impara a vivere meglio i giorni concessici. La certezza che un giorno non saremo più su questa terra e che forse saremo dimenticati aiuta a relativizzare falsi assoluti, a mitigare pretese, a non idolatrare neppure la vita e la salute… La fede aiuta. La fede nel Cristo risorto da morte rischiara il mistero della nostra morte e ci dona forza e coraggio per gridare con San Paolo dov’è, o morte, la tua vittoria, dove il tuo pungiglione?”, e per guardare alla vita, al mondo e agli uomini con occhi diversi e rinnovata consapevolezza. Morire sembra essere uguale per tutti, eppure non è così, perché un conto è il fenomeno biologico della morte, un conto è il processo del morire. Quando il ciclo vitale s’è concluso ogni cadavere è identico ad un altro, ma può essere diverso il cammino che conduce alla morte. Si può morire nella consapevolezza di dover morire o, al contrario, nella disperazione di non voler morire. Si può morire ritenendo che ciò che è stato è stato, o, al contrario, sapendo che non tutto è compiuto. Sotto la croce, un centurione ben avvezzo allo spettacolo triste e tragico della morte per crocifissione, esclama: veramente costui è il Figlio di Dio”, dopo averlo visto spirare in quel modo…”.  L’uomo di fede può indubbiamente avere uno sguardo un palmo sopra e un palmo oltre: oltre l’apparenza, oltre il banale, al di sopra dell’orizzonte… In fondo, per il credente la morte rappresenta l’ultima, definitiva chiamata, l’ultimo appello a fidarci di Colui che un giorno ai suoi discepoli stanchi per una notte inutile di pesca, esortandoli a fidarsi, ordinò: gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete…”. Nulla però autorizza il credente a banalizzare o addirittura criminalizzare l’ansia e l’angoscia - che Gesù stesso sperimentò dinanzi alla prospettiva della morte - ma, viceversa, lo impegna seriamente a dar testimonianza a tutti, in questa vita, della potenza liberatrice della resurrezione, e sarebbe molto bello se se ne desse prova concreta non solo pregando per i defunti ma  accompagnando con dolcezza e rispetto i morenti incontro a codesto appello della Vita. Anche il Signore Gesù, al quale anche i venti e il mare obbedivano, si confrontò, prima che con la sua morte, con quella dei fratelli. E dinanzi a quella di un amico si commosse, si turbò e scoppiò in lacrime…      

Fine o confine?
Gv 11, 1-44

“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (11,21). Poche e apparentemente dure furono le parole pronunciate prima da Marta e poi da Maria all’indirizzo di Gesù: immediate e spontanee, franche e dirette, quasi un rimprovero, come può accadere a ciascuno di noi allorquando, in un consolidato rapporto d’amicizia e di fraterna consuetudine, si sperimenta una delusione, per di più avvertita come ingiusta.
Gesù, infatti, sebbene informato della malattia dell’amico (“Le sorelle mandarono, dunque, a dirgli: Signore, ecco, colui che tu ami é malato”), sembra negarsi ad una visita, e Lazzaro muore in solitudine senza il conforto della sua vicinanza. Anzi, l’atteggiamento di Gesù appare ancora più incomprensibile perchè  “quand’ebbe sentito ch’era malato, si trattenne due giorni ancora nel luogo dove si trovava” (cf Gv 11, 6). Più comprensibile, viceversa, è quello che sembra uno sfogo da parte delle sorelle perché Betania, in fondo, distava da Gerusalemme meno di due miglia, e Lazzaro era da ormai quattro giorni nel sepolcro quando Gesù giunse a casa delle amiche, contrariamente ai “molti giudei erano già venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello” (11, 19)!  Pigro, distratto o addirittura ingrato Gesù? Il mistero dell’amore di Dio, che conosce anche il numero dei capelli del nostro capo, si fa ancor più incomprensibile, ma forse solo perché Gesù vuole offrire molto più che semplice consolazione!

“Se tu fossi stato qui...”.
Svela, dunque, l’amarezza di chi si ritrova a vivere un momento particolare di dolore nel quale gli pare di constatare anche un’assenza di Dio, se non proprio una fuga, davanti alla tragedia… Svela il ri-sentimento di chi vede tradito il desiderio (o forse anche la pretesa di quei credenti che vivono la fede come una sorta di assicurazione contro il male, il dolore e la morte…) di ricevere da Gesù (a me non dovevi negarlo…!) qualcosa in più di una semplice visita di condoglianze che è alla portata di tutti… Marta e Maria, che avevano fatto appello non tanto al loro amore per Gesù, quanto piuttosto all’amore di Gesù per Lazzaro (“colui che tu ami…”), come deluse, sembrerebbero sperimentare, dunque, le conseguenze dell’assenza sia dell’amico di famiglia, già ospite in numerose circostanze felici, sia soprattutto del Signore, di colui cioè capace di gesti così prodigiosi da poter sottrarre anche il fratello al potere della morte: se la morte, infatti, é veramente la realtà ultima che determina una fine irreversibile, allora Gesù é oggettivamente giunto troppo tardi, quando ormai la speranza non può fare altro che cedere il passo alla rassegnazione, e la delusione sovrapporsi all’affetto! Scontata e prevedibile appare, dunque, la reazione delle sorelle di Lazzaro, come del resto quella di tutti coloro che versano nelle medesime condizioni: la morte suscita sempre reazioni emotive forti, e provoca sconvolgimenti che segnano e non di rado cambiano anche la vita.

Anche all’uomo di fede appartiene lo scoraggiamento e lo sconforto, ben diverso dalla disperazione… D’altronde, appena dopo la morte di Gesù, anche discepoli di provata fede cedettero allo sconforto, come avvenne la sera di quello stesso giorno, quando..
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...due smarriti e demotivati discepoli raccontarono la loro storia ad uno sconosciuto pellegrino improvvisamente e misteriosamente comparso al loro fianco. Da Gerusaslemme – la Città Santa in cui avevano assistito a fragili trionfi e vissuto una cocente sconfitta - essi facevano ritorno ad Emmaus, il piccolo villaggio dal quale, in un tempo neanche molto lontano, erano partiti affascinati dalle notizie su Gesù e la “sua” buona novella. L’iniquità degli uomini aveva, però, messo troppo a dura prova la speranza, rimasta anch’essa come inchiodata sullo stesso patibolo del Maestro. La stagione del loro entusiasmo, perciò, volge ormai al declino, e cede il passo alla delusione. Come il seme, che caduto in un luogo sassoso, dove non c’era molta terra, subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma, spuntato il sole, restò bruciato, e, non avendo radici, seccò” (cf Mt 13, 5-7), così essi hanno sentito vacillare la terra sotto i loro piedi. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele” – confidano al sorprendente pellegrino dal quale si sentono chiamare stolti e tardi di cuore “ma con tutto ciò son passati tre giorni da quando sono accadute queste cose...”.(Lc 24, 21). I discepoli non hanno avuto la forza di resistere, benché messi sull’avviso che qualcosa di straordinario era successo (“alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come le donne avevano detto” (Lc 24, 23), ed hanno ammainato bandiera per riguadagnare celermente la via del passato, ormai desiderosi solo di dimenticare e riabbracciare la consueta vita quotidiana fatta, sì, di banale normalità senza slanci ed impermeabile alla novità, ma tuttavia ... tranquilla: essi ormai non desiderano più vivere nella precaria attesa d’improbabili eventi! Ma non aveva forse detto chiaramente il Maestro che “distrutto questo tempio egli lo avrebbe riedificato in tre giorni?” (cf Gv 3, 20b). Davanti all’inconfutabile sconfitta decretata dalla morte, pare che la paziente attesa é atteggiamento ancora possibile solo per i deboli e i creduloni!

Sebbene in fondo convergenti, anche gli atteggiamenti delle sorelle di Lazzaro sono in primo tempo diversi: all’arrivo di Gesù, Marta subito si precipita fuori mentre Maria, che aveva sempre scelto la parte migliore (cf Lc 10, 41) se ne sta in casa.
La donna, che, nei tempi felici delle visite di Gesù, non esitava a tralasciare le incombenze domestiche e che, sfidando anche i rimproveri della sorella, si accoccolava ai di lui piedi rapita dalle parole di vita eterna, ora se ne sta ferma in casa a ricevere le condoglianze, come inebetita e paralizzata dal dolore, incapace di andargli incontro. Tace, e tuttavia, è comunque in ascolto non solo del lamento del proprio cuore ma anche delle tante parole del Maestro che ancora le risuonano dentro.

A che serve parlare quando ormai tutto é compiuto? La morte ha, infatti, già duramente colpito, ha reciso legami familiari, ha vanificato le speranze di una vita, ha oscurato ogni prospettiva, e solo il sepolcro potrà ancora avere qualcosa da dire e da fare completando l’opera distruttiva iniziata dalla malattia e dalla morte! Così forse avremmo reagito noi, e così sembrerebbe che reagisca Maria. Ella, però, non ha smarrito la bussola della speranza, non ha perso il punto di riferimento, e, perciò, quando, avvertita da Marta che “il Maestro é qui e ti chiama (Gv 11, 28b), ritrova anche l’antico slancio, e, come l’altra, anche lei griderà il proprio dolore venato di speranza: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11,32b), senza però null’altro aggiungere, se non ancora lacrime e pianto che provocano nello stesso Gesù fremito, turbamento, e poi pianto...

Marta, invece, come sempre immediata e spontanea, all’apparire di Gesù aveva ceduto subito alla tentazione di precipitarsi fuori di casa, di parlargli a viso aperto, di raccontargli la sua delusione, ma in definitiva anche per narraragli la sua fede e la sua non tanto segreta speranza.
Esse credono nella resurrezione dai morti, ma Gesù desidera che questa loro fede diventi cristiana: la resurrezione che passa attraverso Gesù (“io sono la resurrezione!) è una realtà presente e non soltanto futura, possibile già ora nella fede. La vita di Dio non è più al di fuori del nostro mondo perché il Figlio è venuto tra di noi! La pratica e solerte massaia e la dolce e adorante Maria sono due facce della stessa medaglia, e le loro invocazioni, quasi quelle della vedova molesta innanzi al giudice(cf Lc 18), sono grido di dolore che non esclude la speranza, fiduciosa invocazione d’aiuto e provocazione dinanzi al mistero: forse che il padrone di casa non potrà esaudire almeno per l’insistenza le richieste notturne dell’amico inopportuno (cf Lc 11, 5-8)?

La spontaneità di Marta e la sobrietà di Maria: atteggiamenti diversi che rivelano una medesima fiducia, premiata dalle parole di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!”.

Collocare la morte al di là dell’orizzonte della vita di cui ne chiuderebbe il ciclo, significa, dunque, farne la piovra assassina che, distendendo i suoi tentacoli sull’al di qua, carpisce la preda e la trascina nell’inesorabile nulla dell’oblio. E’, in fondo, la visione comune anche a tanti credenti (?) dei nostri giorni: cosa c’é dopo la morte se non il nulla assoluto giacché essa chiude irreparabilmente la linea dell’orizzonte negando così ogni ulteriore riferimento? La morte é una cesura, é l’argine che stabilisce il vero limite oltre il quale tutto é solo immaginario.

L’apparente ri-sentimento di Marta e Maria verso il Signore svela invece un sentimento di continuità: avvertendo una nostalgia d’infinito troppo grande per rassegnarsi alla pochezza di un tempo finito e di uno spazio definito, il loro cuore si ribella all’apparenza, reagisce all’ingiustizia della morte come fine, aborrisce l’idea di un’esperienza di vita incompleta e incompiuta, e apre, di conseguenza, uno spiraglio attraverso il quale poter accogliere la luce di un nuovo giorno senza tramonto. La delusione per la lentezza di Gesù nell’accorrere al capezzale dell’amico malato nasconde tuttavia anche la certezza circa la potenza liberatrice di Gesù: “se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”... La speranza di Marta e di Maria sembra fragile sol perché ancora legata alla presenza fisica di Gesù con l’evento mortale di Lazzaro e non già alla Persona stessa di Gesù, cioè alla sua sempre attuale forza liberatrice da male, al suo amore per la Vita, che gli fa proclamare apertamente: “Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste  darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (cf Lc 11, 13).

Con lo slancio intuitivo proprio di coloro il cui sguardo sa farsi strada anche tra nebbie e malinconia, Marta e Maria recuperano d’un tratto una certezza di prospettive per affermare con sicurezza che “anche ora – ora cioè che tutto sembra compiuto e perso - qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà” (Gv 11, 22).
 “Prigioniere della speranza”, Marta e Maria “ritornano alla cittadella” (Zc 9,1), aderiscono cioè alla Persona di Gesù, sempre presente anche quando sembra assente, in Lui vedono il Figlio di Dio al quale il Padre non nega nulla, e lo riconoscono il Messia dei gesti potenti capaci non solo di scongiurare il pericolo del non ancora ma di porre anche rimedio al già. Gesù é la roccia e pietra angolare su cui fondare ogni speranza, é il Messia che viene nel mondo a manifestare il volto compassionevole del Padre. Ed è il loro cuore a intuire quello che la mente non poteva conoscere, ma che Gesù aveva già manifestato, quando, ancora lontano, s’era finalmente deciso ad avviarsi verso la casa di Lazzaro:

“... il nostro amico Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo. Gli dissero allora i discepoli: ‘Signore, se s’è addormentato, guarirà’. Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensavano si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: Lazzaro é morto ed io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù andiamo da lui” (cf Gv 11, 13-15).

Il cuoreio vi darò un cuore nuovo...” - fa, dunque, superare a Marta e Maria la concezione e la paura di una morte come fine per approdare a quella della morte come confine: se Gesù può ancora chiedere a Dio ogni cosa, se il Padre concederà a Gesù di far ritornare in vita Lazzaro, allora il fratello, anche ora che sembra morto, non é definitivamente morto, ma ancor vivo, sebbene in una dimensione nuova oltre l’unico orizzonte ora conosciuto, e, dunque, può ancora essere richiamato in questa dimensione e su quest’orizzonte... Le sorelle mostrano di credere, e Gesù, dopo aver anch’egli condiviso la medesima ripugnanza per la realtà della morte (“si turbò”) e manifestato dolore per la morte dell’amico (“si commosse e pianse...”), compie il desiderio del cuore delle amiche: Lazzaro é restituito agli affetti di sempre e alla vita di quaggiù anche se solo come anticipazione già ora quaggiù della realtà definitiva di lassù, la vita eterna... Non solo, dunque, la carne del Figlio dell’uomo, assunta dalla Vergine, risorgerà dopo la morte, ma la carne umana, proprio perché assunta essa stessa dal Verbo eterno, che la glorificherà. “Questa malattia– aveva, infatti, annunciato Gesù – “non é per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato” (cf Gv 11, 4).
 
La morte, dunque, é solo un confine che separa la dimensione del tempo da quella dell’eternità, la dimensione dell’attesa da quello della realizzazione, la dimensione della caducità da quello della perfetta giustizia, la dimensione dell’imperfezione da quello della perfezione, la dimensione della preghiera da quello della visione, la dimensione della fede da quello del compimento, un confine, cioè, oltre il quale non il nulla ma l’Amore, non la morte ma la Vita, perché la parola ultima e definitiva sulla vita degli uomini non sarà più la morte ma l’Amore!

“Credi tu questo?
Si, Signore, io credo che tu sei il Cristo,
il Figlio di Dio che deve venire nel mondo!”

(don Mimmo Panico)




Chi è il mio nemico?

Un sottile venticello freddo faceva da contrappeso alla bella serata primaverile. Piccole, lontane stelle cominciavano a far capolino nel cielo che s'abbruniva. La strada nera e dritta era
solcata da innumerevoli punti luminosi che squarciavano le ombre rendendo meno monotono il percorso. Inseguendo i miei pensieri, tornavo a casa. Tranquillo pensavo al tepore della mia camera, mentre a voce alta canticchiavo un motivetto. Tutto procedeva per il meglio, quando ad un tratto il motore smise il suo rombo lineare, cominciando un singhiozzo che diveniva via via più incalzante. Smarrimento. Paura. "Che cosa sta succedendo?". Neanche il tempo di terminare questo pensiero che |'auto comincia una repentina deriva e perde di slancio. Sobbalza un pochino come un malato rantolante. Si ferma. Fortunatamente ero riuscito a guadagnare la destra. A stento scendo dalla macchina. Le auto sfrecciano velocissime lanciando gelide folate di vento che tagliano la faccia. Non mi resta che chiedere aiuto. "Qualcuno si fermerà", penso. "E' glusto che qualcuno si fermi a soccorrere chi é in difficoltà, altrimenti in che mondo viviamo?". Attendo, dunque. Attento che qualcuno si fermi, mi presto mi accorgo che è una speranza quasi vana. Tutti tirano dritto, ciascuno per la sua strada, ognuno inseguendo i propri pensieri nei quali, pare, non ci sia posto per la solidarietà verso uno sfortunato rimasto in panne. Mezz'ora, un'ora, un'ora e un quarto   e non succede nulla. Accade solo che la paura, ingigantita dalle ombre della sera e dal vento ormai gelido, mi attanaglia. Ma ecco che, ormai persa ogni fiducia, un'auto, lanciata a razzo nella mia direzione, si ferma accanto a me. Finalmente, era ora! Ne scendono due giovanotti. Dovrei essere fellce. Stranamente invece mi assale un'angosciosa inquietudine. I loro volti non mi piacciono. "Chi sono, e perché si sono fermati?". Ma non era quello che desideravo? Loro comprendono il mio smarrimento". "Giovanotto, voi fumate?", mi domandano, e prima che io riesca ad articolare una qualche risposta, mi trovo una sigaretta infilata in bocca e una fiamma che me l'accende. "Che cosa é successo?". Ma, ancora una volta, e ancor prima che riesca a profferir parola, sento di nuovo la voce di uno dei due: "Siete fortunato, siamo due meccanici. State tranquillo. Vediamo noi come rimediare”. Aprono il cofano, verificano, poi emettono la sentenza "Si è sfilettato il perno di sostegno delle punterie". In men che non si dica, l'auto riprende il suo allegro e consueto rombare. Io osservavo, ormai tranquillo ma esterrefatta, quella scena quasi da favola: come due gnomi venuti dal nulla i miei soccorritori mi avevano riparato il guasto ed ora si offrivano anche di farmi da scorta fino a destinazione, nel caso che malauguratamente mi fosse di nuovo capitato lo stesso inconveniente. Meraviglia, gioia... Poi finalmente un balbettio "Posso permettermi di chiedervi quanto vi devo per il disturbo? Posso avere il piacere di conoscere i vostri nomi?". Imbarazzante silenzio! Forse avevano compreso che tentavo di farmi perdonare l'immotivato timore iniziale. Con grande semplicità uno dei due mi dice che non e importante conoscere i loro nomi, né essi desiderano alcunché: erano solo contenti di aver potuto fare qualcosa di buono per una persona in difficoltà. Stordito ripresi a guidare con la "mia" scorta alle spalle. Verso casa. Verso la tranquilla "sicurezza" della mia casa. Che pensieri strani avevo fatto! Perché mai i loro volti avrebbero dovuto piacermi e perché mai non mi erano piaciuti? Forse che il mio volto doveva piacere per forza a tutti? E che c'entra il volto con le intenzioni delle persone? Fino a quel momento io ritenevo di non avere nemici, ed invece proprio allora mi ero accorto com'é facile "inventarsi" dei nemici! Me n'ero inventato addirittura due nelle persone di coloro i quali, angeli custodi, erano scesi improvvisamente dal cielo sulla terra della mia angoscia prima e del mio smarrimento a portarmi aiuto! Avrei dovuto subito mostrare un volto radioso per la gioia di aver incontrato due sconosciuti amici, invece avevo mostrato loro il volto della preoccupazione e quasi del disappunto. E se anche loro, come i tanti passati dritto, avessero pensato che non conveniva fermarsi perché anch'io potevo essere uno dei tanti che simulano un incidente per far del male a coloro che si fermano a prestar soccorso? Avere nemici non è difficile. Soprattutto quando te l'inventi. Soprattutto quando vuoi trasferire agli altri i tuoi pensieri non sempre limpidi. Sopratutto quando ritieni che la bontà non esiste sulla faccia della terra. Soprattutto quando pensi che non si faccia nulla senza tornaconto. Soprattutto poi quando incontri qualcuno che "pretende" anche di avere la ricetta per sconfiggere il male che é sulla terra. "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori. Non giudicate
e non sarete giudicati. Se qualcuno ti chiede la tunica, tu dagli anche il mantello". In quel momento ti senti smarrito. Avevi sempre pensato che ci "deve" essere una soluzione al problema della cattiveria, del male, del sospetto... Pensi sempre che é necessario trovare il sistema di rovesciare un modo di pensare che comunque ti va stretto. Tuttavia quando qualcuno te lo propone, lui diventa il “tuo”  nemico perché incarna quella forza e quella determinazione a cambiare che tu non hai, perché finalmente smaschera la tua ipocrisia e ti restituisce alla tua dimensione d'uomo "qualunque" rispetto a quella patina di perbenismo accusatore che ti eri creata. Cerchi sempre delle "regole", e quando le trovi accusi il suo autore, facendolo diventare il nemico da cui stare alla larga, perché t'accorgi finalmente che esse impegnano te e non costituiscono solo un bel discorso da poter propalare agli atri. E' facile trovare un nemico! Peccato si trovi spesso in chi vuole farci solo del bene soccorrendo il nostro disagio. Avrei dovuto avere almeno il coraggio di chiedere perdono a quegli ancor oggi sconosciuti
amici per aver dubitato di loro. Avrei dovuto inginocchiarmi davanti a loro come il centurione di fronte alla croce. Avrei dovuto ritornare indietro sulla via dei miei cattivi pensieri, come il lebbroso riconoscente, e dire loro tutto il mio ringraziamento e tutto il mio dispiacere. Ed invece nulla. Solo poche, scipite frasi di circostanza. Più per non sentirmi in "obbligo" che per vera riconoscenza... Ancora oggi il pensiero mi rode e mi tormenta. Provo un immenso disagio. "Anch'io" ero riuscito a trovarmi un nemico!
             

                                                                                (don Mimmo Panico)







Gesù disse loro...
“Figlioli, non avete nulla da mangiare?”.
   Gli risposero: “No”. 
Allora disse loro:
 “Gettale la rete dalla parte destra  della barca e troverete”.
La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.
... Allora Simon Pietro salì sulla barca e trasse a terra la rete
piena di centocinquantatré grossi pesci.
E benché fossero tanti, la rete non si spezzò.
Gesù disse loro: 
“Venite a mangiare”.
(Gv 21, 5-6.11-12)
Questa notte, nera appunto come la notte, é ancor più nera ..., notte di stanchezza e delusione, d’incertezza e silenzio, di smarrimento e attesa... Siamo solo in sette, stanotte, ma abbiamo lavorato come mille, senza risultato. Non ho il coraggio di guardare negli occhi gli altri del gruppo; non che mi abbiano rimproverato di non averli guidati bene, è che mi sento in imbarazzo verso di loro. Per me é certamente una notte di rabbia, ma per tutti è una notte senza stelle! Già..., perfino la luna sembra stanca ed ha spento in anticipo la sua luce come nell’attesa di un giorno già triste che si va illuminando di insufficiente, incerto chiarore.
Che notte balorda!
Una notte intera fuori casa, per scoprire che é solo una notte di sconfitta e d’insuccesso... Ora siamo tutti veramente stanchi, e sediamo in riva al mare in silenzio senza volgere lo sguardo intorno, come se ognuno di noi fosse il solo in riva al mare a contemplare l’orizzonte, la testa tra le mani e la mente assorbita nell’angosciante pensiero delle bocche da sfamare che ci attendono a casa: come riusciremo guardare negli occhi i nostri figli presentandoci a mani vuote?
Che strana notte, sembra quasi una notte di veglia e di vigilia perché nella brezza marina si rincorrono inusuali profumi mai prima avvertiti, come fossero precursori di una qualche imminente novità.
 “Figlioli, avete qualcosa da mangiare?”
 Sogno? No, sono ancora desto! Davvero qualcuno si é avvicinato: a quest’ora, dopo questa notte? Fratello, magari avessimo qualcosa da mangiare. Mi sa che il tuo resterà un impossibile desiderio. Inevaso ...
Eppure, stranamente la tua inattesa visita rianima dal suo torpore questa notte di vaghezze e contemporaneamente la placa, sebbene scopriamo subito che la calma sarà solo momentanea. A quanto pare, tu sei uomo d’insospettate risorse, e questa é destinata ad essere anche notte di sorprese, perché ben presto tu la sconvolgi con poche parole, che generano, sì, speranza ma gettano anche nello sconforto.
Quelle tue parole come un lampo, e poi un grido il tuo ...: “Gettate la rete dalla parte destra della barca”, seguito da una promessa: “… e troverete”.
Mentre sto per domandarti chi sei?, mi ritorna in mente quel giorno in cui eravamo col Nazareno, e un tale si chiese a gran voce, proprio come avrei voluto fare io, “ma chi é costui al quale anche le onde del mare obbediscono”?
 Che sia proprio lui, il Nazareno?
Siamo sette, stanotte, e un solo dubbio:  ... dalla parte destra? Perché proprio dalla parte destra? Forse che i pesci abbocchino solo a destra e non anche a sinistra? Amico, il mare non ha destra e sinistra ma solo acque generose o egoiste, placide o tempestose, amiche o traditrici, sincere o beffarde! Che ne sai tu del mare e dei suoi mille intrighi?
... dalla parte destra! Certo non sei un marinaio, né un pescatore ... Ti tradiscono le tue parole ingenue. Un marinaio dice babordo o tribordo, est oppure ovest, poppa o prora.. Tu, invece, dici destra! Cosa vorrai mai insegnarci che noi non sappiamo già? Eppure, nonostante tutto sentiamo che qualcosa non torna: il tono della tua voce é troppo calmo e sereno, troppo sicure le tue parole, troppo fermo il tuo sguardo per non essere tentati di crederti!
 Chi sei, dunque?
Se vuoi sfidarci, noi siamo curiosi... Siamo ancora prostrati per l’infruttuosa notte, e ancor di più frastornati per il tuo bizzarro invito. Non siamo neanche convinti di riuscire a trovare, ora, ciò che invano abbiamo già cercato, tuttavia sulla tua parola getteremo le reti.
 Accettiamo senz’altro la sfida, la nostra razionale perplessità a parte...              
Su, amici, facciamo la nostra parte, prendiamo il largo e caliamo le reti!
Che meraviglia! Il mare ha risposto al tuo invito con pesante e generoso risultato! Il nostro cuore batte a mille e gli occhi sfavillano di gioia, mentre i muscoli delle braccia sono tesi in uno sforzo immane reso tuttavia lieve da una commozione intensa. Così accogliamo il risultato di quella sfida, con un convulso stringerci le mani, con un unico corale evviva, con un timido ma sentito grazie a ... Te! E mentre il cuore illanguidisce di gioia, quella domanda ancora affratella le nostre menti: “Chi sei mai tu, che così generosamente e gratuitamente condividi con sconosciuti un segreto?”.
Per incanto la memoria di un passato neanche tanto lontano si trasforma in profezia, e uno di noi – quello che tu amavi! Potenza dell’amore ... - intuisce ciò che subito si trasforma in certezza per tutti: “E’ il Maestro”.
Perché non ci abbiamo pensato prima?
Fu così che la mente improvvisamente si snebbiò e mi sovvennero quelle parole che tu avevi detto a due dei nostri mentre camminavano, stanchi e sfiduciati, proprio come noi, lungo la via del ritorno a casa: “Stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti...!”.
Sei, dunque, tu il nostro provvidenziale salvatore, il Risorto, Gesù ...
La memoria si fa ora profezia, e i nostri occhi finalmente si aprono...
... sotto i nostri occhi da vivo hai sfamato le folle, consolato gli afflitti, guarito i lebbrosi, ridonato la vista ai ciechi e la parola ai muti, liberato gl’indemoniati e perdonato i peccatori, accolto noi, pescatori-agricoltori-banchieri-terroristi; da crocifisso hai pregato per i persecutori, salvato i pentiti, perdonato i traditori; ora da Risorto doni speranza a chi, come noi, é sfiduciato; accendi una nuova luce per chi, come noi, é ancora cieco; allarghi gli orizzonti per chi, come noi, é ancora  navigatore solitario e smarrito… Sei il cielo per chi ti guadagna ...
Ora, dunque, che l’arcano é finalmente svelato; ora che la conta dei centocinquantatre grossi pesci é completa; ora che abbiamo anche la certezza che gli strumenti di lavoro hanno retto allo sforzo, accettiamo volentieri l’invito che tu ci hai rivolto di sedere a tavola per godere con te dei frutti della tua bontà e del nostro lavoro. Di gioia imbandiamo la mensa e intorno ad essa sciogliamo la nostra lingua in canto.
Fratelli, noi abbiamo prestato le braccia, ma - riconosciamolo onestamente! - esse hanno obbedito più al cuore più che alla mente ancora scettica. Vi ricordate, fratelli, quando, dopo averci consegnato quel nuovo comandamento, Egli ci ammonì che senza di lui noi non potevamo fare nulla perché Egli la Vite e noi i tralci? Vi ricordate, fratelli, quando ci disse ancora: ” Chi rimane in me, ed io in lui, questi porta molto frutto?”. 
Egli é ora con noi, vivo,per farci sentire legati davvero alla Vite...
Rimanere in Lui, e obbedire alla Sua Parola per portare frutto...                                       
Rimanere in Lui, e obbedire alla Sua Parola per comprendere...  
Rimanere in Lui, e obbedire alla Sua Parola per trovare il senso...                                                    
Ogni sforzo di comprensione sarà sterile senza legami alla Vite!
                                                         
            
                                                                                           (don Mimmo Panico)

  


Domenica di Pasqua

Con la Pasqua di Cristo si realizza il disegno di condurre tutti gli uomini alla salvezza e alla conoscenza della verità, che è anche liberazione e riconciliazione del genere umano con Dio.  L'antica omelia "sulla Santa Pasqua" dell'anonimo Quartidecimano, del II secolo, definisce la Pasqua come: "Festività comune di tutti gli esseri, invio nel mondo della volontà del Padre, aurora divina di Cristo sulla terra, solennità perenne degli Angeli e degli Arcangeli, vita immortale del mondo intero, nutrimento incorruttibile per gli uomini, anima celeste di tutte le cose, iniziazione sacra del cielo e della terra". 
Come già abbiamo rilevato nella vita terrena di Gesù, gli Angeli appaiono solo in alcuni precisi momenti. 
All'inizio della sua missione pubblica, dopo aver presentato Gesù, che è stato tentato da Satana nel deserto ed averlo vinto, S. Matteo annota: "Allora il diavolo lo lasciò ed ecco Angeli gli si accostarono e lo servivano" (Mt. 4,11). 
Alcuni teologi fanno opportunamente notare che a Cristo, che ha dato prova di restare fedele al progetto messianico del Padre, gli Angeli mostrano la loro sudditanza. 
Essi si pongono al servizio dell'uomo, quando l'uomo è disponibile a servire Dio. 
Una volta, riguardo alla missione degli Spiriti celesti, Gesù ebbe a dire: "In verità in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" (Gv. 1,51). Questa frase del Signore si riferisce particolarmente al momento della esaltazione gloriosa che comprende la sua Passione, Morte, Resurrezione e Ascensione. 
Nel Vangelo di Luca, un "Angelo del cielo" conforta Gesù nella sua angoscia mortale, quando nel Getsemani Egli accetta di morire in croce, per redimere l'umanità dal peccato. 
L'Angelo non lo libera dalla Passione né dalla dolorosa Agonia, ma non lo abbandona, anzi lo conforta, perché Egli trovi il coraggio per restare fedele al progetto di Dio. 
Così, come all'inizio, dopo le tentazioni, anche alla fine della sua resistenza, Gesù non trova vicino a sé gli apostoli o i discepoli, ma trova la presenza consolante degli Angeli che sono al suo fianco e lo accompagnano sino alla fine nel compimento della sua missione di Messia sofferente. 
Nei racconti della Resurrezione vediamo una massiccia presenza di figure angeliche che rotolano via pietre dal sepolcro, vigilano sulla tomba vuota, tranquillizzano e preparano gli apostoli ed i discepoli alla fortissima emozione di vederlo di nuovo vivo. 
Nel Vangelo di Marco, l'Angelo della Resurrezione viene descritto come "un giovane seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca". 
Egli si trova all'interno del Sepolcro e alle donne che erano venute per ungere il corpo di Gesù dà un messaggio sconvolgente: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea, là lo vedrete, come vi ha detto" (Mc. 16,6-7). Nel Vangelo di San Matteo, l'apparizione dell'Angelo della Resurrezione è così riportata: "Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un Angelo del Signore, sceso dal cielo, sì accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l'angelo disse alle donne: 'Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea, là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto. Abbandonate in fretta il Sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli" (Mt. 28,2-8). 
Nel Vangelo di San Luca, le pie Donne giungono presso il Sepolcro di mattino, assai presto. Esse trovano una Tomba aperta: non c'è nessuno e vedono due Spiriti celesti in vesti luminose.  Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, gli Angeli dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’Uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e resuscitasse il terzo giorno. 
Ed esse si ricordarono delle sue parole". (Lc. 24, 5-8). 
Nei racconti evangelici della Resurrezione, tutti quelli che vedono gli Angeli sono fortemente colpiti dall'esperienza, strappati dalle loro emozioni e relazioni personali, per approdare ad una realtà che appartiene all'intera comunità. 
Essi sono mandati agli altri, così come vengono mandati gli Angeli, per interpellare, per annunciare, per dichiarare un nuovo ordine esistenziale, per espandere i doni della fede, della speranza e dell'amore. 
Questi spiriti celesti spingono ad una totale conversione, cioè rendono più agevole il passaggio tra una forma di vita e un'altra, messa in moto dalla Resurrezione. 
Questi Angeli della Resurrezione sono intermediari e trascinano una comunità, in via di dispersione, in un nuovo luogo in cui Gesù possa apparire loro per mandarli nel mondo così come Egli era stato mandato nel mondo dal Padre.




Il Segno della Croce


Quando fai il segno della croce fallo bene.
Non così affrettato tale che nessuno capisce cosa debba significare.
No , un segno della Croce giusta , lento , ampio ,
dalla fronte al petto , da una spalla all'altra.
Senti come esso ti abbraccia tutto ?
Raccogliti dunque bene,raccogli in questo segno
tutti i pensieri e tutto l'animo tuo ,
mentre esso si dispiega dalla fronte al petto,
da una spalla all'altra.
Allora tu lo senti:
ti avvolge tutto ,
corpo e anima,
ti raccoglie , ti consacra , ti santifica.
Perchè ?
Perchè è il Segno della totalità
ed è il Segno della redenzione.
Sulla Croce nostro Signore ci ha redenti tutti.
Mediante la Croce
Egli santifica l'uomo nella sua totalità ,
fin nelle ultime fibre del suo essere.
Facciamolo quindi :
prima della preghiera
affinchè esso ci raccolga
e ci metta spiritualmente in ordine;
concentri in Dio pensieri, cuore e volere;
dopo la preghiera
affinchè rimanga in noi
quello che Dio ci ha donato;
nella tentazione
perchè ci irrobustisca;
nel pericolo
perchè ci protegga;
nell'atto della benedizione
perchè la pienezza della vita divina penetri nell'anima
e vi renda feconda e consacri ogni cosa.
E' il segno più Santo che ci sia.
Esso abbraccia tutto l'essere tuo ,
corpo ed anima , pensieri e volontà ,
senso e sentimento, agire e patire,
e tutto diviene irrobustito, segnato, consacrato
nella forza di Cristo ,
nel nome del Dio Uno e Trino. 
                                        Amen 
   



La povertà


L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.
Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri. 
            Poveri si diventa.
Come si diventa avvocati, tecnici, preti. 
            Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. 
           Questa della povertà, insomma, è una carriera.
E per giunta tra le più complesse.
Suppone un noviziato severo.
Richiede un tirocinio difficile.
Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina. 
Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un    passaggio fortissimo:
                "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi". 
E' un testo splendido. 
Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità:
"Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo"
 Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma:
     "Ella con Cristo salse sulla croce". 
Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera. 
            E ce l'ha voluta insegnare. 
            Perché la povertà si insegna e si apprende.
Alla povertà ci si educa e ci si allena.  
E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.
(don Tonino Bello)








XXIX Domenica Tempo Ordinario
Comunione e Libertà, essere parte appassionata del mondo ma non farsi sottomettere da alcuno :noi apparteniamo a Colui di cui siamo immagine.


Citazioni:
Is 45,1.4-6a:                                      www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9abst5bm.htm  
1Th 1,1-5b:                                        www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9abthma.htm
Mt 22,15-21:                                      www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9axg0xv.htm


Il dialogo narrato nel Vangelo di questa domenica, mette in evidenza l’atteggiamento poco autentico dei farisei, i quali tentano di “cogliere in fallo” Gesù per trovare un’accusa plausibile contro di Lui. E’ proprio il primo versetto della pagina evangelica di Matteo a offrirci questa chiave di lettura: ci si può presentare al Maestro anche con intenzioni insincere, per legittimare se stessi e far sorgere motivi apparentemente validi per rifiutare la Sua presenza e la Sua Parola. E, tuttavia, anche questa occasione di incontro con dei cuori così poco trasparenti, da a Gesù la possibilità di affermare una verità liberante per la nostra vita: solo il Signore è Dio e Lui solo bisogna adorare!

In modo subdolo, le autorità mandano a Gesù dei farisei e degli erodiani, i quali propongono un quesito: “bisogna pagare le tasse all’impero romano oppure no?” Ora, farisei ed erodiani sono due gruppi diversi; i farisei sono gli uomini religiosi e conservatori, che rifiutano perfino di toccare le monete dell’impero, perché su di esse c’è dipinto il volto dell’imperatore e ciò è contrario al comandamento; semplicemente toccare le monete, farle circolare nel Tempio e pagare il tributo, significava riconoscere all’imperatore un potere sul popolo santo di Dio. Gli erodiani, invece, erano quei Giudei del partito di Erode, il quale governava una parte del territorio proprio per conto dell’impero romano; essi avevano tutto l’interesse, anche economico, a incassare le tasse. Si capisce allora il tranello che le autorità hanno preparato a Gesù: se Gesù risponde con un “no” si mette contro l’impero e se risponde “si” si mette contro la legge e quindi contro il Tempio.

Gesù, però, è un sapiente secondo lo Spirito. Egli vede la loro astuzia insincera e smaschera la loro ipocrisia, spostando il problema e andando alla radice; si fa dare una moneta, chiede di chi è l’immagine. A questo punto, afferma: se la moneta è di Cesare restituitegliela ma state anche molto attenti a restituire a Dio ciò che è di Dio. Gesù non sta separando politica e religione e né proponendo una sorta di laicità in cui vi sono due ambiti diversi, Chiesa e Stato. Il pericolo di una simile visione, infatti, è che si separa la confessione di fede dalla storia, dalla prassi sociale, dall’impegno politico, dalla vita reale.

Gesù sta dicendo una cosa molto più grande: c’è qualcosa che appartiene a Cesare – all’impero, all’autorità – e allora dategliela; ma state attenti a non consegnare a nessuno, neanche all’autorità, tutto il resto e cioè voi stessi, la vostra persona, la vostra dignità, la vostra libertà. La vostra vita appartiene a Dio e solo a Lui dovete restituirLa, vivendola per Lui. Non siate schiavi di nessun’altra autorità di questo mondo e a nessun idolo affidate la vostra vita: né allo Stato, né alle idee o ideologie, né al denaro, né alla posizione sociale.  C’è qualcosa di profondo, di intimo, di importante che appartiene a Dio e solo a Lui va restituito: è l’uomo nella totalità della sua esistenza. Sulla moneta che circola sulla terra c’è l’immagine di Cesare ma nel cuore dell’uomo, invece, è impressa l’immagine di Dio. A Dio solo devi rendere culto, Lui solo adorare, a Lui affidare la tua vita. In tal senso, anche la Iª Lettura ci aiuta nella riflessione: il re Ciro è suscitato da Dio per il bene del popolo e, tuttavia, Ciro non è un dio da adorare perché “Io sono il Signore e non ce n’è alcun altro”.



Questa Liturgia della Parola domenicale, dunque, ci consegna la verità profonda della nostra vita e ci fa comprendere quanto affermare Dio, non significa diminuire la nostra umanità ma, al contrario, ritrovarla pienamente liberata. Affermare Dio e credere nel Suo comandamento – adorare Lui solo e non farsi altri dei – non è una parola che ci schiaccia ma, invece, è il fondamento della nostra dignità di uomini: nessuno può renderci schiavi, a nessuno dobbiamo sottometterci con mortificazione, e nessuno può distruggere o annullare la bellezza che siamo perché noi siamo, anzitutto, immagine di Dio. Dunque, noi apparteniamo a Colui di cui siamo immagine.

Il cristiano, dunque, sa di essere in questo mondo ma di non appartenere ad esso; vive tutte le cose con passione restando, però, interiormente libero per Dio; si impegna fino in fondo e obbedisce alle autorità di questo mondo e, tuttavia, la sua anima appartiene a Dio. Egli sa che anche Cesare, alla fine, è sottomesso a Dio e che, in certi casi e contesti, essere fedeli a Dio e alla Sua Parola può voler dire resistere, lottare, soffrire e talvolta anche morire. Il cristiano sa, che in ogni realtà su cui è chiamato ad esercitare un potere o un governo, mai deve abusare e usare l’arma della sopraffazione. Egli considera ogni uomo come fratello da accogliere e amare perché in lui scorge l’immagine di Dio; rifiuta ogni violenza dà forma alla fede professata, attraverso un impegno quotidiano che contribuisca a rendere più umano e più accogliente questo mondo.

Benedetto XVI così commenta il brano evangelico di questa domenica: “Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza. I Padri della Chiesa, prendendo spunto dal fatto che Gesù fa riferimento all’immagine dell’Imperatore impressa sulla moneta del tributo, hanno interpretato questo passo alla luce del concetto fondamentale di uomo immagine di Dio, contenuto nel primo capitolo del Libro della Genesi. Un Autore anonimo scrive: “L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità … Pertanto da’ la tua ricchezza materiale a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato”.